La Ca' Granda N.1-2 2007


GLi Induno: grandi ritrattisti dell'Ottocento non solo per la Ca' Granda

Domenico e Gerolamo Induno. La storia e la cronaca scritte con il pennello, organizzata a Tortona nelle sale di Palazzo Guidobono, i due migliori pittori del nostro Risorgimento tornano alla ribalta, dopo un lungo periodo di ingiustificato disinteresse.
Nuovamente e ripetutamente rievocati durante quest’anno di celebrazioni garibaldine *( 1), i quadri degli Induno hanno recentemente raggiunto anche notevoli valutazioni commerciali, tornando ad essere importanti presenze nelle aste dell’Ottocento italiano.

Per chi come me da sempre apprezza la loro pittura, queste non sono novità; la quantità di materiale che in oltre dieci anni ho raccolto intorno agli Induno, fotografie, documenti d’archivio, notizie sulle collezioni, bibliografia, mi ha permesso di apprezzarne l’estrema raffinatezza pittorica, al punto di decidere di costituire presso il mio studio di consulenza d’arte l’Archivio Generale delle Opere di Domenico e Gerolamo Induno.
Oggi sono circa settecento le opere catalogate, ma rappresentano ancora solo una parte dell’enorme produzione degli Induno; furono pittori capaci di interpretare il loro tempo, leggendone sia i risvolti di satira sociale, Domenico fu l’iniziatore della cosiddetta ‘pittura di genere’, sia i risvolti politici e militari, Gerolamo fu pittore-soldato nella campagna romana del 1849 e in Crimea.

L’estrema piacevolezza delle loro opere ne favorì la divulgazione anche oltre i confini lombardi, e diede il via a una schiera di imitatori.
Gli Induno ebbero intorno alla metà dell’Ottocento un grandissimo successo di pubblico, suggellato anche dalla critica dell’epoca, che sulle pagine dei quotidiani e nelle annuali recensioni alle Esposizioni dell’Accademia di Brera, ne esaltava le doti pittoriche.

E’ certamente una conferma della loro autorevolezza la commissione che entrambi i pittori ricevettero dall’Ospedale Maggiore per l’esecuzione di due ritratti di benefattori. La Quadreria della Ca’ Granda, infatti, rappresenta una galleria di opere dei migliori artisti dell’epoca; nel solco della tradizione del ritratto gratulatorio, che ebbe inizio nel XV secolo, al significato del ringraziamento conseguente all’atto caritativo doveva unirsi un sentimento di rispetto e di affetto per un gesto tanto nobile. Domenico e Gerolamo si misurarono con il genere dell’effigie gratulatoria solo in questa occasione, dal momento che per due “pittori di genere” come loro, non era facile attenersi a vincolanti schemi compositivi e regole formali.

Nel 1860 Domenico ricevette l’incarico di eseguire il Ritratto di Antonio Carnevali (fig.1), benefattore morto l’anno precedente, che nel 1855 aveva donato all’Ente ospedaliero 45.000 lire e nel testamento aveva legato all’Ospedale Maggiore un diretto dominio sulla sua abitazione di Milano. Il Carnevali è raffigurato, secondo lo schema compositivo imposto, a figura intera, in abiti da passeggio, colto nel momento prima di uscire. Nonostante l’adesione a un modello prestabilito, Domenico non rinuncia a una descrizione del personaggio che ha ben poco di ufficiale: la tuba nella destra, pronta ad essere calzata, la maniglia sullo sfondo, un momento prima di essere afferrata, tutto rimanda alla quotidianità del personaggio. Persino l’ambiente non ha nulla di ufficiale, una stanza come tante altre, priva di qualsiasi oggetto, solitamente invece abbondanti nei quadri degli Induno, con un’unica accensione di luce sulla maniglia sullo sfondo; sembra che Domenico non abbia saputo rinunciare ad inserire un oggetto d’uso quotidiano come la maniglia, qui nella tipologia ottocentesca più diffusa, anche in un’opera “convenzionale”.

Diverso l’esito del ritratto gratulatorio nel dipinto di Gerolamo, il Ritratto di Dionigi Arrigoni (fig.2), eseguito nel 1868 all’indomani della morte del benefattore, un commerciante celibe, che aveva nominato erede universale dei suoi beni l’Ospedale Maggiore.
Qui l’intenzione gratulatoria è più evidente: il benefattore poggia la mano sull’atto testamentario appena redatto in favore dell’Ospedale, lo sguardo fiero per il gesto compiuto; l’ambientazione nello studio, con gli oggetti ben descritti che testimoniano un certo “status”, è certamente più insistita che in Domenico e rimanda agli interni così attentamente indagati dai due pittori durante tutto il loro fecondo percorso artistico. Gerolamo, che già alla fine degli anni Sessanta si dedicava alla descrizione di piacevoli interni di gusto neosettecentesco, mantiene qui un carattere aulico, aderendo ad un consueto schema compositivo che preferisce evitare un’eccesiva contestualizzazione del personaggio, per concentrare l’attenzione sulla personalità dell’effigiato.
La fortuna critica di questi ritratti iniziò da subito: il Ritratto di Dionigi Arrigoni è infatti segnalato fra le opere più rilevanti in appendice al catalogo dell’esposizione di Brera del 1869, mentre entrambi i ritratti furono scelti per l’esposizione postuma dei fratelli Induno, organizzata nelle sale del palazzo della Permanente nel 1891*(2) .

Nell’ampio panorama della ritrattistica ottocentesca alla Ca’ Granda si può dire che gli Induno, nei limiti del consentito, rinnovarono la tradizionale formula del ritratto facendo prevalere la verità psicologica del personaggio sulla rassomiglianza fisionomica. Questo è del resto in generale l’esito delle loro soluzioni ritrattistiche, nelle quali è da riconoscere l’adesione alla formula del ritratto ambientato, chiamato anche istoriato, inaugurato da Giuseppe Molteni già dalla fine degli anni Venti.
La pittura ‘naturalistica’ degli Induno ama indugiare nel racconto, con l’esibizione degli oggetti d’uso quotidiano e dei particolari solitamente considerati secondari; nei ritratti, siano essi “mondani” piuttosto che “en amitié”, questa attenzione va al servizio dell’indagine psicologica del personaggio, al fine di connotarne l’identità. Si aggiunga che gli anni attorno al 1860 sono proprio gli anni delle sperimentazioni fotografiche, che certamente influirono sul ritratto dal vero.

Una selezione di alcuni dei migliori ritratti degli Induno, qui proposti in ordine cronologico, permetterà di apprezzarne le eccezionali qualità pittoriche.
Fra le opere esposte nei primi anni di frequentazione dell’Accademia di Brera da parte di Domenico, il Ritratto di Augusta Bertolio coniugata Piccinini Rossari (fig.3) merita un’attenzione particolare. Commissionato dal marito, appare nel catalogo dell’esposizione braidense del 1842 ed è così commentato dal recensore dell’epoca: “trattato con mano maestra, e senza essere abbarbagliante, possa riguardarsi per un lavoro di buon effetto. Vi ha freschezza nell’abbigliamento, e verità in tutti gli accessorj” . Pubblicato dal Nicodemi come proprietà degli Eredi Piccini*(3) , è oggi in collezione privata milanese.
L’adesione ai modelli che il Molteni proponeva negli stessi anni è evidente, basti il confronto con opere come il Ritratto di Luigia Tallachini Pascal (1840 ca) o il Ritratto di Ernestina Gavazzi Pascal (1844-46): l’ambientazione è simile, col tendaggio che fa da quinta teatrale, i mobili importanti, l’attenta descrizione dell’abito, dell’acconciatura e dei gioielli.
Ma nella tela di Domenico tutto l’insieme è meno formale, quasi confidenziale, come se l’artista conoscesse da vicino l’animo della persona ritratta. Donna Augusta è seduta su un’importante poltrona imbottita con tessuto damascato, poggia un piede e un gomito su cuscini di velluto, sul gueridon alla sua destra un delicato vaso con una rosa, e una rosa anche fra i capelli, forse alludono a una passione per quel fiore; infine il vestito, con scollatura ‘a cuore’ riunita al centro da un gioiello, le maniche piatte all’attaccatura, poi più larghe a volants, il raffinatissimo pizzo nero appoggiato sulle braccia, i preziosi gioielli – il bracciale con cammeo in primo piano è tuttora nella collezione dei proprietari del dipinto – e l’elegante pettinatura a bande lisce*(4) .
Tutto contribuisce ad indicare l’agiatezza, l’importanza sociale del personaggio, ma il semplice gesto con cui tiene un piccolo ritratto nella sinistra, forse un figlio lontano da casa, o forse il marito stesso, e la naturalezza con cui volge lo sguardo a destra, avvicinano questa nobildonna allo spettatore.
Domenico ci rende partecipi dei sentimenti della ritratta, o per lo meno ci permette di indagarli e, con un procedimento poi costante in tutta la sua successiva produzione, elimina le barriere fra classi sociali, allineando emozionalmente il ricco al povero.

Ancora vicino alla scuola del Molteni è il Ritratto della Nobil Donna Giuseppina Buttafava nata Tirelli (fig.4), che Domenico eseguì probabilmente nel 1844, segnalato dal Nicodemi nella raccolta del Commendatore Enrico Buttafava*(5) e oggi non ancora individuato. In alto a sinistra, sotto gli stemmi delle due casate Buttafava e Tirelli, un’iscrizione dell’artista recita: “GIVSEPPINA TIRELLI / IN BUTTAFAVA / 1813-1844”.
Discendente di una casata di antichissima nobiltà e di tradizione munifica, la nobildonna è qui ritratta poco prima della morte prematura che la colse a trentuno anni, nella tipica posa del ritratto gratulatorio conseguente a donazioni benefiche.
L’ambientazione è sontuosa, con la grande poltrona in velluto e la preziosa consolle sormontata da specchiera sulla destra; l’abito scuro è rischiarato da un raffinato pizzo bianco attorno alla scollatura, la pettinatura è a bande separate, ricadenti ai lati in lunghi boccoli. Ma lo sguardo triste e segnato dalla malattia e il fazzoletto tenuto fra le mani ci ricordano la triste sorte della giovane donna, e ci rendono partecipi della sua sofferenza.
Quindici anni dopo quest’opera, Domenico esporrà una delle sue tele più riuscite e più apprezzate anche dalla critica dell’epoca, Al cader delle foglie (Milano, Soprintendenza al Patrimonio Architettonico e Paesaggistico)*(6) , che mostra al centro una giovane figura di donna, malata di tisi, indifferente alle cure altrui perché consapevole del suo destino, così come, tutt’attorno, le foglie cadenti dell’autunno anticipano l’inverno. L’espressione delle malata è la stessa nei due quadri, la sorte umana è la medesima, indifferente alla classe sociale, cambia soltanto il contesto della rappresentazione del dramma: Domenico Induno è stato un grande maestro di questa verità.

Poche le notizie riguardo uno splendido Ritratto di ufficiale (fig.5), eseguito nel 1864, assolutamente inedito, noto soltanto attraverso una vecchia riproduzione fotografica della raccolta Somaré*(7) . Il soggetto raffigurato è un sottotenente del 36° reggimento di fanteria dell’Esercito italiano; lo sguardo è fiero e la posa sicura, con l’esibizione della sciabola d’ordinanza e dei gradi di sottotenente sul keppy, dove è leggibile il numero 36 identificativo del reggimento, e sulla manica del cappotto, con il semplice gallone a nodo “ungherese”, appoggiati sulla poltrona. Anche le carte lasciate alla rinfusa vicino al calamaio sulla scrivania, insieme a un manuale, sono da riferirsi agli importanti impegni che certamente l’ufficiale doveva assolvere per la difesa della patria, ben esibita, quest’ultima, nella cartina politica sulla parete di destra.
Dall’ampia finestra, con uno scorcio di città, una calda e rassicurante luce illumina la stanza, evidenziando particolare per particolare i numerosi dettagli che fanno da contorno alla personalità del ritratto, secondo un’abitudine consueta del pittore: così l’occhio si sofferma sul bellissimo scorcio al di là della finestra, sulle specchiature della balaustra, sulla precisa prospettiva del pavimento, su cui poggiano, lucidissime, le calzature dell’ufficiale.

L’analisi di un ultimo ritratto, eseguito da Domenico in formato ovale nel 1868, conferma la sua eccezionale capacità di ritrattista. Si tratta del Ritratto dell’avvocato Angelo Cantù (fig.6), annoverato, nell’introduzione del Nicodemi al catalogo della mostra del 1933*(8) , come uno dei migliori esiti del pittore; nelle stesse pagine, a proposito di Domenico esecutore di ritratti, lo storico così commentava: “Il contatto col vero qui sembra pienamente esaltarlo: le espressioni degli occhi aprono, entro le convenienze fisionomiche dei visi, intensità di vita superbe”. Nel 1945 Nicodemi sceglieva di pubblicare il dipinto nella monografia dedicata agli Induno*(9) , dove lo segnalava come collezione degli eredi Cantù.
Non sappiamo se l’avvocato fosse amico di Domenico, certamente la posa poco ufficiale fa pensare più a un genere di ritratto per uso privato, forse fu commissionato dall’avvocato stesso per un uso domestico o per il suo studio che, in quegli anni si trovava in Via Spiga 30*(10) . Dal 1865 al 1869 rivestì un’importante carica nel settore dell’amministrazione delle tasse e del demanio, facendo parte della Commissione provinciale d’appello per l’imposta sulla ricchezza mobile e sui fabbricati; il ritratto, datato 1868, si colloca evidentemente in un momento di massima notorietà dell’avvocato.
Lo sfondo del dipinto è uniforme e non vi è alcun accenno di ambientazione, ma Domenico non rinuncia ad abbozzare qualcosa nelle mani coi guanti del Cantù, forse una busta di tabacco, unica citazione di un gesto semplice e quotidiano. Splendida la definizione del viso, lo sguardo intenso del personaggio, qui in età avanzata*(11) , i lunghi baffi e le basette, trattati quasi pelo per pelo. Diverte qui riportare un commento ancora del Nicodemi, che pare in questo caso puntuale: “Non si può certo pensare che, come quelle del Cremona, le figure di Domenico si muovano nell’onda di motivi musicali: tutto è troppo preciso nella visione induniana per potersi perdere in astrazioni di qualsiasi ordine”.

Un risultato simile a questo è raggiunto dal fratello Gerolamo nel Ritratto di Antonio Cantalupi (fig.7), eseguito nel 1880, e ora in collezione privata milanese.
Esposto a Brera nel 1880*(12) , fu pubblicato dal Nicodemi nel catalogo della mostra milanese del 1933 e nella monografia del 1945*(13) dove lo si segnalava nella collezione della Professoressa Luisa Cantalupi, è stato individuato in collezione privata milanese.
Antonio Cantalupi fu certamente un personaggio di spicco della borghesia milanese del secondo Ottocento. Ingegnere e architetto civile fu autore di importanti opere specialistiche, come il Manuale delle leggi, regolamenti e discipline intorno alle acque, alle fabbriche non che ad altri rami relativi alla professione dell’ingegnere ed architetto civile, pubblicato a Milano nel 1845, e il Portafoglio dell’Ingegnere architetto e agronomo, del 1879. Dal 1869 diresse, per ordine governativo, i lavori di costruzione del carcere di San Vittore, da lui stesso progettato ed inaugurato dieci anni più tardi, il 10 luglio del 1879. Questo ritratto, datato 1880, risale dunque al momento di massima notorietà dell’ingegnere, che tiene con la mano destra il volume dal titolo “PORTAFOGLIO DELL’INGEGNERE” appena pubblicato; sulla sinistra altri volumi impilati alludono alle sue importanti opere, mentre sul panciotto scuro risalta la medaglietta rossa dell’ordine di Cavaliere, a connotare un’onorificenza ricevuta. Il volto è intensamente espressivo e l’intera composizione ha una resa pittorica sicura, tanto da poter annoverare questo ritratto fra i migliori di Gerolamo e fra i più vicini a quelli del fratello maggiore Domenico.
Infine un’inedita miniatura di Gerolamo Induno, ora in collezione privata, ritrae la Regina Margherita (fig.8), divenuta prima regina d’Italia alla morte di Vittorio Emanuele di Savoia, nel 1878. E’ probabilmente fra questa data e gli inizi degli anni Ottanta che possiamo datare questo delizioso ritratto, come dimostrano la firma sulla destra e il tratto a piccoli tocchi, tipici entrambi dell’ultima produzione di Gerolamo. La Regina, che qui risulterebbe avere circa trent’anni, indossa le perle fra i capelli elegantemente pettinati, nei pendenti degli orecchini e in tre file attorno al collo, sappiamo del resto che erano i suoi gioielli preferiti*(14) ; l’abito, di un pizzo bianco tendente al rosa, sale in un raffinato colletto rialzato che incornicia il volto, leggermente ruotato ad osservare qualcosa.
La posa naturale, priva di ufficialità e il piccolo formato, fanno pensare a un uso privato della miniatura, probabilmente commissionata all’artista da un ammiratore della Regina.
L’analisi dei ritratti eseguiti dagli Induno potrebbe continuare; nell’Archivio Generale delle loro opere se ne contano almeno quaranta, tutti di grande qualità. Stupisce e affascina la versatilità dei due pittori, che spaziano dal ritratto di piccolo formato, abbiamo visto persino una miniatura, a quello di grande formato, si pensi ad esempio all’Aleardo Aleardi, splendido omaggio all’amico poeta, con il quale Domenico aveva condiviso gli ideali di Risorgimento*(15) . Spesso si dedicarono al cosiddetto ritratto en amitié, o ancora realizzarono effigi di piccole dimensioni destinate alla fruizione domestica di case nobiliari, ma non rifiutarono anche incarichi ufficiali e prestigiosi, come i ritratti per l’Ospedale Maggiore eseguiti proprio negli anni di maggiore notorietà dei due artisti.
La loro incredibile creatività ci ha lasciato un vero e proprio spaccato di Ottocento: figure ambientate in interni domestici o in ariosi paesaggi, capaci di raccontarci la loro quotidianità.


  1. Numerose le mostre e le iniziative culturali in Italia, coordinate dal Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi 1807-2007.
  2. Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente, Esposizione postuma dei fratelli Domenico e Gerolamo Induno, catalogo della mostra, Milano, 1891, n. 140, p. 9 e n. 367, p. 22.
  3. G. Nicodemi, Domenico e Gerolamo Induno, Milano, 1945, tav. 49.
  4. Cfr. R. Levi Pisetzky, Storia del costume il Italia. L’Ottocento, Milano, 1969, vol. V, n. 82.
  5. G. Nicodemi, Dipinti di Domenico e Gerolamo Induno ordinati in mostra retrospettiva dalla galleria dell’Arte e dell’Esame nel Castello Sforzesco di Milano, Milano, 1933, n. 3; Nicodemi, 1945, op. cit, tav. 50.
  6. Per la storia del dipinto si veda R. Ferrari, in Domenico e Gerolamo Induno. La storia e la cronaca scritte con il pennello, catalogo della mostra, a cura di G. Matteucci, Tortona, Palazzo Guidobono, Torino, 2006, n. 45, p. 156.
  7. Enrico Somaré, insieme a Giorgio Nicodemi, aveva organizzato nel 1933 la più importante retrospettiva sui due pittori nelle sale del Castello Sforzesco, alla quale fecero seguito due piccoli cataloghi: Catalogo della mostra retrospettiva dei pittori Domenico e Gerolamo Induno. Ordinata nel Castello Sforzesco di Milano dalla Galleria dell’Arte e dell’Esame, con una nota di E. Somaré, Milano, magg.-giu. 1933 e Dipinti di Domenico e Gerolamo Induno ordinati in mostra retrospettiva dalla galleria dell’Arte e dell’Esame nel Castello Sforzesco di Milano, prefazione di G. Nicodemi, Milano, 1933. Presso il Civico Archivio Fotografico di Milano è conservata la Raccolta Somarè di fotografie b/n che probabilmente servirono per organizzare tale evento.
  8. Nicodemi, op. cit., 1933, p. 21.
  9. Nicodemi, op. cit., 1945, tav. 30.
  10. Guida di Milano per l’anno 1868, Tipografia Bernardoni, Milano, 1868, p. 388.
  11. Dal 1872 lo studio di Via Spiga non compare più negli elenchi della Guida di Milano.
  12. R. Accademia di Belle Arti in Milano. Esposizione 1880. Catalogo ufficiale, 1880, p. 28, n. 276.
  13. Nicodemi, op. cit., 1933, n. 134; Nicodemi, op. cit., 1945, tav. 182.
  14. Perle…nome…
  15. Il dipinto è stato recentemente ritrovato e pubblicato nel catalogo della mostra di Tortona (S. Bietoletti, in Domenico e Gerolamo..., op. cit., 2006, n. 5, p. 48).
Marina Manusardi