Il nostro testo


ad Anna, in memoria

L’Archivio Induno


E’ dal lontano 1933, infatti, che ai fratelli Induno non viene concesso il privilegio di una rassegna interamente a loro dedicata. Forse penalizzati da troppo frettolose considerazioni storico-artistiche, come altri autori dell’800, agli Induno erano stati riservati ben pochi studi.
Durante i lunghi anni di lavoro dedicati alle attività di consulenza in campo artistico, mia sorella Anna ed io, chiamate continuamente a verificare l’autenticità di dipinti, ci eravamo rese conto di quanto scarsa fosse la documentazione riguardante molti pittori dell’Ottocento italiano, ed in particolar modo per i due fratelli milanesi, abilissimi artigiani del pennello, fecondi e ben noti, per i temi storici e sociali oggetto del loro interesse, non solo agli studiosi ma, soprattutto, a quel lungimirante collezionismo di cui Milano si può, a ragione, vantare.
Fu la frequentazione di tante collezioni private lombarde ad “inventare” l’Archivio Induno; con rimarchevole assiduità, nelle nostre visite, incontravamo quadri che, pur mancando di precisi riferimenti bibliografici, di una seria documentazione, di notizie riguardanti le origini, ci sembravano assolutamente degni di considerazione.
In casa di un collezionista milanese, dove da sempre era custodita, ci venne mostrata una composizione di Gerolamo Induno, La scioperatella (fig. in catalogo), e fu amore a prima vista. Già pubblicata dal Nicodemi (1945, tav.143), la splendida tela offriva il ritratto di una bimba imbronciata e caparbia, pronta a trasformare i libri apparentemente dimenticati in un vessillo di disubbidiente libertà. Nella ragazzina dagli splendenti occhi, fissi e determinati, fu ravvisata una certa somiglianza con chi scrive, anzi, si insistette senza pudore su mai sopiti atteggiamenti ribelli. Mi ritrovai, mio malgrado, coinvolta, con il desiderio di conoscere meglio l’autore che mi aveva “quasi” ritrattata.
Cominciò così, quasi casualmente, la nostra ricerca sugli Induno: lettere, vecchie fotografie, pubblicazioni, documenti di ogni genere, vennero ricercati, analizzati, ammassati iniziando così un vero e proprio Archivio.
Ogni quadro trovato illustrava un nuovo aspetto della personalità dei due fratelli e ricostruirne l’operato diventava un puzzle, un gioco di ricerca e di ricollocazione che ci appassionava
Il mondo pauperistico degli Induno, pur strettamente ottocentesco, ci sembrò una sorta di epigono della dimessa quotidianità settecentesca, tutta lombarda, alla quale i nostri studi e le tradizioni di famiglia ci avevano forzatamente avvicinate.
Ci piaceva quella sorta di “controllata”, dignitosa malinconia tutta lombarda, quell’aristocratico impegno a rifiutare, fin quanto possibile, ogni frivolezza narrativa, quella capacità da cronista che manteneva uguale impegno nel raccontare le vicende di una quotidianità senza storia come nel descrivere episodi che la storia costruivano.
A un povero contadino, a un soldatino che saluta la madre, a una lettera che, nelle aristocratiche mani di una grande dama o in quelle più umili di una giovane donna modestamente abbigliata, racconta storie differenti, viene concessa, sia da Domenico che da Gerolamo, la stessa trepida attenzione, espressa con la medesima, attenta, calligrafica descrittività pittorica.
Il mondo dell’800 si sciorinava attraverso le composizioni che incontravamo, meticolosamente schedate, in una ricerca che diveniva di giorno in giorno più intrigante e coinvolgente.
L’Archivio Induno è stato anche di fondamentale utilità per rettificare attribuzioni non corrette. Alle numerose copie, anche d’epoca, il confronto con autentici capolavori di Domenico e di Gerolamo, come Il richiamo di Garibaldi (fig. in catalogo) o Triste presentimento (fig. in catalogo), entrambi esposti in mostra, non concedeva alternative. I confronti fotografici tra le tante copie derivate dagli originali, e tele di incerta attribuzione, ci permetteva di sfrondare paternità che un mercato antiquario troppo permissivo o tradizionali assegnazioni famigliari avrebbe concesso.
Oggi l’Archivio vanta più di 600 fotografie e non è soltanto una raccolta di immagini, ma ogni singola immagine è accompagnata dalla storia e dall’iter di ciascuna opera. Gli studiosi che si sono occupati in questi ultimi anni degli Induno conoscono le grandi difficoltà che si incontrano nel ricostruire la storia di una composizione: ci si basa su documenti del XIX secolo con indicazioni quanto mai generiche, spesso mancanti di ogni riferimento alle misure dei quadri, con rarissime riproduzioni tanto che l’opera può, a volte, essere riconosciuta (e nemmeno con precisione!) solo attraverso il titolo e la proprietà. Molto è stato fatto e ancor più è da farsi per catalogare in modo esaustivo ed appropriato l’opera dei due fratelli Induno, di cui i nostri studi hanno evidenziato un “corpus pittorico” di almeno 2000 opere. Certo questa mostra darà un grande contributo alla conoscenza dei due fratelli, riconsegnandoli alla ribalta che meritano e, forse, permettendomi nuove, interessanti, acquisizioni per l’Archivio.


Marina Manusardi